Questa non è una sera come le altre
Nessuna lo è, dirai
Nessun fiume, oggi
ricorda il fiume che fu
e non v’è uomo, per quanto ottuso
che alla centesima Alba
non si lasci scappare un sospiro
Eppure, queste ore
non sono niente di simile
Non scorrono, non servono al petto
non sanno di tempo
Occhi fissi
del rosso in un bicchiere
nessuna stella in cielo.
‘Ncori ranni non ci po’ ‘ntrasiri nà ‘ncori picciriddu,
non servi a nenti ca u gnuttichi o u tagghi pezzi pezzi,
ca fai cartoccia oppuri ca u ‘mpagghiazzi,
aresta fora, vagnatu e ‘nfriddulutu sutta na’ finestra,
ittannu schigghi s’ammuccia arreri a nà vanedda,
si strica ‘nterra comu ‘ncriaturi, s’aratta a facci,
si pinna tuttuparu, arruzzulia ppa’ strata, si minnica li carni,
e chianci rispiratu comu n’anima ca non avi abbentu.
Chistu è lu cori miu malatu, ca voli trasiri nà ‘ncori picciriddu.
‘Ncori ranni non ci po’ ‘ntrasiri nà ‘ncori picciriddu,
non servi a nenti ca u gnuttichi o u tagghi pezzi pezzi,
ca fai cartoccia oppuri ca u ‘mpagghiazzi,
aresta fora, vagnatu e ‘nfriddulutu sutta na’ finestra,
ittannu schigghi s’ammuccia arreri a nà vanedda,
si strica ‘nterra comu ‘ncriaturi, s’aratta a facci,
si pinna tuttuparu, arruzzulia ppa’ strata, si minnica li carni,
e chianci rispiratu comu n’anima ca non avi abbentu.
Chistu è lu cori miu malatu, ca voli trasiri nà ‘ncori picciriddu.
Mi chiamo Pino, nato a Latina il 02/11/1958, nessun diploma, adolescenza e gioventù vissute per strada e con dissolutezza, da cui ho ereditato esperienze e cagionevole salute. Ho visitato tutti i continenti e incontrato numerose culture e persone, la più importante a ventitre anni, Francesca mia moglie e dividendo con lei ogni istante, abbiamo costruito insieme una famiglia con due figli e un lavoro nell’ambito del mare, che è nelle mie origini e di cui ne ho le caratteristiche. Vivo da quindici anni con un fegato donatomi.
Affascinato dall’universo, mi piace la musica e tutto ciò che arte e storia, i miei figli mi chiamano scherzosamente “Pino Angela il tuttologo”
Ho cominciato a scrivere da poco, perché credevo conclusa la mia esperienza di vita terrena e volevo raccontare qualcosa di me, invece un nuovo farmaco inaspettato, mi ha restituito energie vitali e sentimentali, aprendomi un imbarco al viaggio forse mai fatto, quello dell’introspezione.
Dicono di me: piange, piange, ma non muore mai e se la spassa. Egoista, opportunista ma intelligente.
Penso di me: arranco cercando di dare il meglio di me. Presuntuoso e sentimentale.
Sono lo sporco, di poco peso,
piccole spalle da piegare.
Sono la vita che uno non sogna,
un etichetta “il portarogna”.
Sono della settimana un giorno,
un nome non nominato,
sono il ” menasfiga “,
un dimenticato.
Sono… “Si va tutto bene”
sono il pianto nelle sere.
Sono il sorriso che dava,
a chi toccandosi
il marciapiede cambiava.
Sono poi…che ti convinci
e non osi più toccare,
non vuoi scolorire,
che non sia tu a far perire.
E allunghi alcool al tuo salato
sapendo già d’ esser dannato.
Sono io e il mio dolore
sono ormai cattivo odore.
Scusa tanto , non ti ho salutato,
ti ho riconosciuto sai..
mi son solo vergognato.
Sappi che non porto rancore,
ho finalmente un nome,
mi chiamo Amore.
So anche che con il sorriso,
mi hai molto pensato…
nella città del silenzio,
davanti a quella foto,
sono io che ti ho portato.
L’incanto di un sogno fatto di pelle
festa di luna impazzita di stelle,
brividi stolti e baci nell’ombra,
parole vuote tra capelli ingrigiti
da neve di fiaba e giostre di miti
Vita in un sogno di panna e sorrisi
una visione di paradisi
fragole dolci e volti sereni
il cuore intriso di desideri
Impronte di passi vissuti
e impressi per sempre
in un solco cicatriziale
che cambia il tempo
ma ancora fa male
e sembra dirti:
ti ricordi di me?
Così torna il brivido sulla tua pelle
lacrime strette negli occhi gemelle
braccia raccolte a placare il gelo
di un cuore che muore al mero ricordo
di luci, di giostre, di feste nascoste
nel sogno cieco più bello del mondo
Scorre l’immagine di sorrisi nel sole:
campi di grano senza fine e dolore
ti ammalia dolce un abbraccio d’amore.
Come
limo fecondo
accolgo
in me
le tue radici
inattese
che generano
titubanti rami
ma sensuali
profumi
che ravvivano
l’aria.
L’inverno
del tempo
porterà
lacrime.
E ti ritrovi al telefono
a parlare di equilibrio tra cuore e ragione
pensando di aver capito qualcosa
di conoscere finalmente.
E poi sei lì
che friggi patatine
aspettando una telefonata che tarda.
Sospesa tra terra e cielo.
E riordini pensieri
cerchi parole.
E pensi che tutti
siamo lì ad immaginare
sul filo di emozioni e pensieri
perfetti giardini dell’Eden
in cui vorremmo vivere.
Giardini mai raggiungibili.
E invece siamo qui
come funamboli
sempre in cerca.
In precario equilibrio.
Oggi lasciami stare
Quindi stammi vicino
Ma in punta di piedi
Non ho voglia di niente
Quindi ho bisogno di tutto
Anche di te
Ma tu non sfiorarmi
Neanche con lo sguardo
Penetrami invece
Con la tua mente
Leggimi dentro
E aspetta il momento
Sono scrigno difficile da aprire
E cielo che cambia col vento
Ma hai tu la chiave
E sei tu che ci voli dentro
E che sai quando e come
Quando sto così
Non lasciarmi stare
Da sola
Mai
Solitamente non mi piace descrivermi, ascolto sempre il rimando, quello che gli altri percepiscono di me, mi serve per capire ciò che mi circonda e per capirmi meglio. Cosa posso dire… da qualche anno sono in pensione, dopo un lungo lavoro nel sociale, ed ho figli e nipoti che amo moltissimo. Da quando sono libera mi sono affacciata su FB nei gruppi e, con le dovute cautele, ho incontrato bella gente, ma anche no, ed ho imparato molto. L’interesse per ciò che mi circonda e la curiosità, intesa come ampliamento degli orizzonti e delle conoscenze, non mi hanno ancora abbandonato.
Non sono riusciti a prosciugare le mie lacrime,
ad addomesticare la mia rabbia,
a stingere i miei acquerelli.
Ho il mare dentro.
Tempesta di onde in subbuglio,
uragani di follia a devastare la noia,
vortici di luce a impregnarmi di vita.
Brividi…
Sciami di pensieri alati.
E questo mare che urla
la libertà di un addio
per un domani migliore.
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