Sintobiografia e sintoscritti di Mauro Berti

 

 

 

… Sì, da una vita mi conosco e mi conoscono così: da quel mezzogiorno – suonavano le campane –  di un lontano novembre di tanti anni fa, in una viuzza del centro di Reggio Emilia. E da allora sono qua, trapiantato bambino a Forlì, cesenate adottivo da trent’anni, ingegnere informatico per caso ( IBM prima, Electrolux poi), sedicente scribacchino per gioco; giusto e sbagliato, principiante e apprendista, distratto e curioso: curioso di vedere “l’effetto che fa” queste cose scritte da me, scritte per me, per dirmi e spiegarmi ragioni, motivi, perché…
Messi un attimo da parte schemi e diagrammi, algoritmi e matematica, qui, a ricercarmi spiragli di sogno, ricordi, rimpianti, invenzioni, ragioni di vita: a specchiarmi negli altri, per vedermici riflesso all’indietro, mille e mille volte. E per sempre.
 

 

 

 

Siamo così stupidi ed abituati ai vicoli ciechi che
non sappiamo neppure goderci la Gioia

 

 

 

 

 

 

 

Volerei

Vorrei tu fossi la luce
che mi entra gli occhi
e quest’aria che mi respira
vorrei quest’odore di sole
fosse il tuo odore
e il rumore sapesse soltanto
delle tue risa e delle tue parole.
Vorrei che il mio sangue
sbagliasse la strada
ed entrasse nel tuo
a farne uno solo.
Vorrei queste righe
disegnate nel cielo
per farti capire
per farti sapere.
Solo questo vorrei

 

 

 

 

 

 

 

 

Maya Anoopkumar

 

 

Potpourri di colori… dei tuoi colori

Porto con me il tuo cuore rosso, nel miracolo del verde dei tuoi occhi, con il giallo dorato di quei tuoi capelli, a volare, mentre corri i miei prati, accarezzandomi, come io fossi fatto di fragili petali di rosa…
Il colore dei pensieri, nel grigio vagare della nebbia, di un suo bianco antico, mi parla di te e questo indaco acceso di viola e di blu, mi riempie e mi lascia vuoto, ad un tempo, di Te e di me…
Ho chiesto alle brune montagne, alle mie lontane colline, di colorare di arancione la mia folle insensatezza; sventagliano intorno, gli argentei ulivi, quasi a rimescolarmi quest’aria che profuma di azzurro, a ridarmi respiro, a colorare i mille sentimenti, le tante emozioni che si agitano in me… in te… in noi…
 

 

 

 

 

La passione di Giuda

E Tu, mio Cristo, mio Eletto e Promesso Salvatore, Tu avrai la Tua resurrezione e salirai alla Gloria dei cieli… Tu, mio Signore, creerai la più grande religione nei tempi e dispenserai del tuo Paradiso e del tuo Inferno… Ed io…? Io, misero peccatore che per sempre sarò ricordato come “Il Traditore”? Io che ti ho amato come nessuno degli altri undici, io che avrei dato la mia vita trenta volte per Te…, io che ti ho dovuto vendere per trenta denari, perché questo era scritto, perché questo serviva alla Tua grandezza, alla Tua “eternità”…
Io, senza scelta e scampo che brucerò tra fiamme di ludibrio e sofferenza e che ti ho dato la mia vita e la mia morte, perché Tu potessi compiere il Tuo destino…
Io, che sono solamente Giuda…

 

 

 

 

 

 

 

 

Izis

Izis

 

 

Pugni al cielo

Fu quando mi confusi agli altri, quando mi invischiai nel loro odore, nel lezzo di sudore, rabbia, paure, che mi sentii uno tra i tanti. E capii che non serviva a niente sentirsi…
Dio, la legge, la giustizia, dalla propria parte; e che era stupido e meschino chiamarsi fuori, credere sempre di avere la ragione in tasca ed il consiglio giusto per ogni disputa e stagione.
Tirai fuori quel mio guanto nero e chinato il capo, lo alzai al cielo: non so se per chiedere vendetta od un qualche perdono.

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei

Rivestirti coi fili d’argento di ragnatela intessuta di fiati e respiri, coprirti dell’alito caldo di una sera d’estate e di brina lucente ché basta un sospiro a far correre via… Regalarti un sorriso che ti scaldi e ti accenda come un sole o una stella o un’aurora rubata a una fiaba. E nel quieto silenzio, restare lì muti a specchiarsi, incantati e sedotti dal magico incanto degli occhi…

 

 

 

 

 

 

 

 

Gioia inattesa

E domani era già oggi e lui si ritrovò sorpreso, a mescolare ore, cercando di far dolce quel giorno dal gusto un pò salato, quasi sgarbato, che adesso lo assaliva. Forse ubriaco di sogni… favole… pensieri, staccò un foglietto ancora dal calendario appeso al muro. E dentro ci abitava quel suo viso: l’onda di sorriso lo rivestì di gioia…

 

 

 

 

 

 

 

 

berti

Gallery hip

Perdersi

Si perse tra la camera da letto e il bagno, prima della porta che s’infilava dritta proprio in cucina.
Di colpo non c’era più e non sapeva chi chiamare né cosa dire: «Chi l’ha visto» o il 113 o Telefono… già, ma di che colore…
Non più muri, pareti, soffitto e neppure il maledetto trumò cacciato nel mezzo dell’ingresso, dove ogni volta andava a ‘sbattere’ imprecando: più nulla intorno, solo un grigio baluginare informe e un fastidioso ronzio alle orecchie.
Non era ‘attrezzato’ per perdersi, così in slip e maglietta e per giunta spettinato; neppure il suo pc o il cellulare dietro, nessuna frase celebre da pronunciare per l’evenienza.
No, non sarebbe stato bello come epitaffio, sapersi scritto “Si perse nell’ingresso di casa sua, verso le cinque di mattina, mentre andava a far pipì… immaginate la figura…
Si ritrovò trent’anni dopo e stava proprio su quel trumò: era ficcato dentro ad una bella foto, con la cornice argentata ed uno stupido sorriso stampato in faccia, E lì, non aveva più nessuna fretta e non si sarebbe perso più. Di rado ai fotoritratti, succedeva di dover andare a far pipì…

 

 

 

 

 

 

 

 

Vernice Meraviglia

«Sei la mia Meraviglia…» e lui che lo seguiva a naso insù e le labbra dischiuse tra meraviglia e stupore; seguiva quel pennello che disegnava strada, contorni, divenire e che tagliava via sulla pianura e s’inventava monti e poi vallate o fiumi o boschi o vuote pietraie desolate… Come se da quel pennello, fosse scaturita un’ammaliante melodia, lui lo seguiva perso, come in un sogno od in una mai ascoltata fiaba… gli occhi sgranati dalla sorpresa e col colore intenso dell’ingenuità bambina, che li colmava e trascendeva, rendendoli lucenti e vivi.
E andava disegnando, quel pennello… e andava colorando… e andava profumando e cancellava il resto… il grigio, l’apatia, il saputo, il consueto, l’usuale; e c’era tutto un mondo nuovo che nasceva, ad ogni goccia di vernice che cadeva, ad ogni tratto di strada che compariva, tirata fuori da quel nulla e niente, ad ogni volta che il pennello s’intingeva dentro il secchiello di vernice, piccolo ma immenso… che era la sua mente…
Sì, perché lui, non lo sapeva… ma nessuna mano diversa, reggeva e guidava quel pennello e nessun artista strano, o dio ribelle, o fato avverso, o pifferaio magico , si stavano inventando scene, percorso, cammino… strada… Era soltanto e sempre quella sua insana fantasia, quell’autosedicente suo pensiero, che gli covava dentro… a volte a sua insaputa… confuso ed indeciso se essere “ulcera” od accesa lampadina, capace di far chiaro il più insensato dei cammini, di dar respiro al rantolo che spegne e beve… di dare ad ogni colpo nuovo di pennello, nuova forza… dove a volte, c’era solamente la voglia di sedersi e stare… guardare, muti e in silenzio, mondo e vita e tempo, scorrere e scolorire.
Da solo s’andava disegnando intorno… da solo si creava la sua via, tirando fuori, ad ogni pennellata, i segreti colori della sua Vernice Meraviglia, che dalla strada, portava dritto, puntando in alto, a quella sempiterna stella… si, l’ultima a destra, appena fuori porta, là, oltre quel dosso… tra Orione e Magellano…
“… e mai, ti perderò… ”

 

 

 

 

 

 

 

 

NikonClub

A. Russo

Lampioni

Una anima, due mani, tre dita a reggere una penna. Un cuore, due occhi, qualche foglio di cartaccia a tener su l’inchiostro. Una mente, una manciata di neuroni, qualche sinapsi, qua e là, a far girare a caso, le ‘rotelle’: e quest’uomo che si arrabatta e spera, aspetta, muore e non ci crede.
Una storia, che sembra quasi vera e le parole, sempre quelle, a mescolarsi e combinarsi e sembrare sempre diverse; pensieri che dicono di come questa vita, puttana e bara, c’intrappoli e ci fotta.
Ti lega mani e cuore con moglie, casa e figli, nel lavoro quotidiano ti tappa e ti imbottiglia, t’imbroglia coi ricordi e con quel tuo “domani…”, ti sbianca la memoria coi “Ridi, che poi, passa…”

Un fiasco di quel rosso, color del sangue e dell’amore, un bel bicchiere sempre mezzo pieno e andarsene ubriaco, a fare compagnia a tutti quei lampioni, accesi nella via…

 

 

 

 

 

 

 

 

Farfalle

Ci si tuffa dentro, ci si impantana, si affoga, talvolta, nei mari scomodi e inusuali e turbolenti, fatti di matematica e di fisica, o di qualcosa che noi chiamiamo Scienza.
Ci si arrampica su per ripide creste e costoni, che non sai dove vanno poi a toccare il cielo … o se si inabissano al fondo del mare e neppure sai il perché tu lo stia facendo.
Dà una strana ebbrezza, lo sfiorare i confini del sapere e viaggiare sul limite di quello che non sai, se frutto nostro o di qualcosa che ci sta sopra, dentro e di cui siamo solo una infinitesima parte.
Riacquisti la giusta misura della tua pochezza, quando ti confronti con qualcosa che spesso ti fa dire “Basta, ..mi arrendo…non ce la posso fare…”
Ma poi mica ti arrendi: no ti ci infili dentro, a fondo e provi e riprovi, anche se sai di essere inadeguato, incapace, piccolo bambino che gioca con cose più grandi di lui … e che non hai più il tempo per ricominciare strade o giochi.
E’ bello ubriacarsi di queste farfalle che ti vanno ad ingombrare la mente e gli occhi e ti fa sentire vivo, come ti fanno vivo le farfalle nel cuore che noi chiamiamo amore.
E chissà, forse un giorno, anche noi, piccoli bruchi, diverremo colorate e leggere farfalle a volare chissà dove…

 

 

 

 

 

 

 

 

E. Hopper

E. Hopper

Stazione di servizio
dedicato a E.Hopper

Non c’era rimasto niente impigliato all’aria, sospeso ai fili del bucato che penzolavano indolenti, solamente la sdrucita camicia ‘a quadri’, si agitava scomposta, rinsecchita quasi, al filo di vento e neppure uno straccio di pensiero, riusciva a districarsi.
L’uomo seduto sul vecchio sdraio fatto di metallo scrostato e corde di plastica blu intrecciate, sembrava osservare cose, che solo lui poteva vedere, … un cappello di paglia dalla larghe tese, a riparargli il volto, gli occhi chiari a lampeggiare come dardi, verso un tempo che non c’era più …. se c’era poi davvero stato.
Lì accanto, dritto e teso come una volta, il palo di metallo con la cigolante insegna di un rosso Pegaso alato, si dondolava stanca, sapendo che ormai finito di fare il suo mestiere; nessuno si sarebbe mai fermato ‘a fare il pieno’, alla file delle tre ‘pompe’, vuote ed inutili e l’uomo non si sarebbe più alzato da quel suo sdraio, per ripulire parabrezza incostati di moscerini morti o per cambiare l’olio a motori assetati.
Sembrava racchiuso in un dipinto, quell’uomo immobile, che si contava il cielo e che non aspettava niente…