Sintobiografia e sintoscritti di Paolo Amato

 

53 anni, funzionario dell’Agenzia delle Entrate con delega alla scrittura. Spaccia parole per sedurre improvvisati scrittori suoi simili. Partecipa a concorsi letterari “per vedere l’effetto che fa”. Poi scopre che per vincere, non è sufficiente amare la letteratura: bisogna saper contare i “mi piace”! Nel suo paese lo riconoscono per strada e non gli chiedono l’autografo per non sembrare invadenti, ma le donne, da quando è poeta, lo seguono ovunque riempendolo di notifiche, sussurrando il suo nome e seminando puntini di sospensione… A volte si convince di essere qualcuno, ma fortunatamente è semplicemente Amato. Nel frattempo manda cartoline e confeziona epitaffi perché nella vita non si sa mai. Si classifica secondo per la categoria “Mi Piace”, nella sezione “Microletteratura e Social Network” del Premio Antonio Fogazzaro, sia nel 2011 che nel 2012, terzo nella classifica “qualità” nel 2013.

 

 

 

 

 

 

“…  Ancora vento caldo a
delineare le mie ali sui
contorni dell’autunno… “

 

 

 

 

 

 

Ti scrivo

Era l’alba quando, madre, hai
chiuso la porta. Ora, ritratti
che adornano la stanza ed io
con occhi adulti, nel
respiro del passato.
Le poesie, i racconti sono nuove abitudini
che riempiono di nebbia
quel vuoto che annuda.
Adesso fermati.
Spoglia il silenzio e sorridimi.
Hai forse dimenticato un bacio
dietro quella porta?
Torna pensiero e
guarda la mia notte.
Vestila di stelle e
riprendi la lacrima
di tuo figlio.
Non cancellarmi il desiderio
di tenerti
tra gli occhi umidi di
un sorriso
nei miei ricordi.

 

 

 

 

 

 

 

Sullivan J. Ph

Sullivan J. Ph

Paolo e Francesca

Come al solito facevo ritorno a casa e come ogni sera lei era appoggiata alla sua Opel Fuego, in attesa dei suoi clienti. Francesca era una prostituta molto carina, la guardo sorrido e le dico:
«Francè, hai freddo?».
Lei mi sorride e toccandosi la guancia mi risponde: «Paolè vieni a stamparmi un bacio proprio qui»
Mi avvicino le poggio le labbra sulla guancia e lei improvvisamente infila una mano sotto il mio braccio.
«Portami in giro».
La guardo: «Andiamo a piedi?»
«Si…».
Fu una sensazione strana camminare, così, nella città immensa, senza avere la più pallida idea di dove stessimo andando, del nostro avvenire più immediato.
Ricordo di aver visto la nostra immagine in una vetrina. Forse, a causa della stanchezza, lei stava inclinata verso di me e pensai che somigliavamo a quegli innamorati che facevano apparire intollerabili le nostre solitudini.