Sintobiografia e sintoscritti di Patrizia Tiralongo

cameliaSono nata nel  ’74  nel Friuli
ma vivo nella città del buon Nero d´Avola.
Tacco 12 fisso, altrimenti non riesco a pareggiare il mio ego.
Entro in punta di piedi nella vita delle persone e mi ci impantano fino ai gomiti. Sarcastica, rompipalle, dolce poco, altrimenti ingrasso e scivolo.
Ho l’aria snob ma la vizio con la purezza dell’imprevedibilità scostumata fashion: per questo faccio la costumista.
La ragione è il braccio destro insieme al calcio sinistro,
il cielo la brezza nello stomaco, il mio papà un ninnolo gigante.

 

 

 

 

 

 

Dillo cosa vuoi
a scapito di chi sei
vorrò essere atmosfera planetaria
piuttosto che isola nel tuo palmo.

 

 

 

 

 

 

A Pascal

Una miscellanea di parole formose
urta lente opacità
e anche quando i colori
sembrano accendersi all’orizzonte
smorza
solenni commozioni.
E resto come ditata nel sempre
come un quasi
come un’orma di pre-gesta
un punto viandante
fra tanti falsi punti fermi.
E la terra mi soffre.
E il cielo mi soffre.
Ha il rombo di un carro armato a cimbali
questa melodia
amniotica ed espulsiva
mi scuote e mi rilascia
mi biasima e m’approva.
Sola
Mi sospendo scendo e risalgo
Non smetto
E accetto l’autostop.

 

 

 

 

Appuntamento a ieri

Il tramonto
muoverà il suo Flamenco.
Nacchere i nostri baci.
Del domani
placheranno il lamento.

 

 

 

 

Senza sconto di sale

Canta salmi
ad un angolo del mio umore,
a quello putrido e sonnolente.
Muove incontro a fragilità longeve,
il mio patto d’instabilità.
Mi solleva, mi trasporta,
dentro una conchiglia
mi rifrange
la’ dove
le mie onde scuotono
ancora te,
dove il te si
fonde a me,
dove l’inizio e la fine
hanno circonflesso il nostro melo.
Alle sponde di un abbraccio
all’indietro e in avanti,
nel maltempo.
Perché ti ho
come mare dentro.

Senza sconto di sale.

 

 

 

 

 

La mia casa al mare

tiralongo

Eric Brede

 

Costruirò una casa al mare
e quando muoverà verso me,
madida di mille righe,
sarà palafitta del mio pensare.

Avrà una stanza
per le gioie feconde,
una parete di notti bianche,
una nicchia per mani di leggerezze,
un ripiano per sillabe di amori.

Al centro un cofanetto,
tutto ricoperto
di perle e di tremori.

Dentro braccia stanche,
qualche bottone di risolutezza.
Un braccialetto di denti avvelenati.

Feritoie sul soffitto
per gemiti di cielo
e gerle per raccogliere camelie,
sputate dal vento.

E sulla scogliera
un cinema all’aperto,
per quegli eroi
che vogliono guardarvi dentro.

 

 

 

 

 

Esodo

Lontano dalla fame e dalla sete,
una chitarra sdrucita pizzica note su cicatrici di miele,
rimestando il dolce e l’amaro con un risultato invertito.
Ancora stordita dal suo sogno in sospeso apre una controluce,
un esodo sfarzoso accarezzato qualche volta nel solco dell’infelicità,
un serbatoio di speranza recalcitrante e suadente,
sinonimo d’altri venti, d’altri santi.
Dove sfioro la felicità.
L’esistenza nella misura della costanza per tutta la nenia,
fino all’istante della ripartenza.

 

 

 

 

 

L.Neer

L.Neer

Visioni da un interno

Respiro d’abbracci impigliati su palpiti di taffetà.
Sorsi di whisky con ghiaccio,
inghiottiscono visioni.
Mani come fiamme al vento,
giocano con un ventaglio di possibilità,
dietro ciglia d’amarene.
Luccica una pioggerellina dal bicchiere
fra melograni sperimentali e segreti di sottobosco.
Sposta il vento in qua e in là
come messaggero di un odore
che ha occhi e fame alla vista,
di quella mano in tasca,
al confine fra fair play e proibito.

 

 

 

 

 

 

 

 

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M. D6nmvc

Una brutta sbronza

Metti che nell’ibrido di un atterraggio
tracanni la mia diffidenza come grappa moscata,
sormonterei per la scapigliata di un’anima pelvica
un’esistenza da nauseabonda perbenista.
Metti che la diffidenza finisca prima della messa in piega
e per i gargarismi occorra attaccarsi al barilotto del terrore,
gorgogliando perturbazioni
metto in pausa l’esofago e dilato la trachea.
Sappi che appartengo ai miei dettagli
esattamente come mi appartengono i tuoi – 
Daccapo istigo la coscienza dentro sorsi nuovi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno sporco affare

Ho affondato trenta centimetri di combattuta lucidità nella terra ferma
ma la mia imponenza si innalza a centonovanta centimetri.
Ho smussato dieci centimetri di premurosa saccenteria
ma adesso le mie curve risultano anche più pericolose.
Ho affettato millecinquecento chilometri di lotte intestine
ma si sono ricomposte con dieci numeri misti, quelli giusti.
Ci ho messo tempo ad aspettarmi e adesso che mi sono raggiunta ho ripreparato i bagagli.
Se c’è un affare più pulito di questo indicatemene il percorso su mappa con le bandierine,
che lo scanso.